La pelle vegana e cruelty free si può fare con le foglie di cactus (oh sì)
L’industria della moda è assetata: la lavorazione di un chilo di pellame per borse e scarpe necessita di 16mila litri di acqua. L’allevamento di bovini necessita di 17mila litri di acqua per ogni chilo di pelle che se ne ricaverà. Tutto questo spreco si potrebbe evitare convertendosi ai tessuti alternativi, alla pelle vegana cruelty free, perché si può fare e ce ne sono diversi tipi.
La “pelle” vegana (scommettiamo che, così come per il latte vegetale, qualcuno obietterà che non va chiamata pelle?) si può simulare con diversi materiali: poliuretano, canapa, fibra di cocco. Si possono ricavare materiali simili al cuoio anche dalla buccia ella frutta, come le mele o l’uva, o dalle foglie di ananas e l’ulivo. Anche queste coltivazioni, però, richiedono tanta acqua: per produrre un chilo di mele ne servono settanta litri, un vigneto richiede un consumo idrico giornaliero di 20-40 litri per pianta al giorno, e il consumo medio giornaliero degli ulivi è di circa 1-1,5 litri di acqua per ogni metro quadro di superficie fogliare. Bisogna quandi chioedersi se queste queste alternative vegane sono realmente valide rispetto alla pelle animale, a parte la certezza che siano cruelty free.
Cercando su Google “borsa pelle vegana cruelty free recensioni” ci siamo imbattute in un’azienda chiamata Desserto e l’abbiamo presa in esame (non li abbiamo informati, è una scelta nostra) per valutare le caratteristiche della similpelle vegana che producono, che sembra promettente. Desserto produce pelle vegana realizzato con Cactus Nopal, il banalissimo fico d’India. Nel loro claim si propongono come la migliore’opzione sostenibile per coloro che cercano prodotti di alta qualità che rispettino sia l’ambiente che gli animali.
Gli ideatori sono due imprenditori messicani, Adrián López Velarde e Marte Cazárez. Per dedicarsi a questo progetto green hanno lasciato i loro precedenti lavori nei settori dell’arredamento e automotive e, spinti dal desiderio di far qualcosa di concreto per limitare gli sprechi e l’inquinamento, si sono dedicati con passione alla realizzazione di questo materiale resistente e biodegradabile. Perché proprio il cactus? “L’idea di utilizzare questa materia prima nasce dal fatto che il cactus non ha bisogno di acqua, e ce n’è in abbondanza in tutta la Repubblica Messicana. Inoltre, rappresenta simbolicamente il nostro territorio”, dice López Velarde. “Per far sì che le industrie utilizzino questo materiale, è essenziale poter contare su una fornitura stabile e abbondante di materia prima. Attualmente lavoriamo su due ettari di terreno e una possibilità di espansione di 40 ettari”.
Il cactus cresce quasi spontaneamente, non necessita di irrigazione artificiale, le poche piogge e i minerali della terra gli sono sufficienti per prosperare, né richiede l’uso di erbicidi e pesticidi. È un serbatoio naturale di carbonio, e lo immagazina anche di notte. La differenza tra emissioni di CO2 assorbite e prodotte è nettamente a favore di quelle assorbite: annualmente, 1,4 ettari di cactus assorbono 8.100 tonnellate di CO2 contro le 15,30 tonnellate prodotte. I cactus, a contrario di altre colture, possono crescere in terreni impossibili, sono super resistenti, si adattatano a condizioni estreme, contribuendo naturalmente alla rigenerazione del terreno. Il 50% del raccolto viene destinato all’industria alimentare, contribuendo al benessere dell’agricoltura. Due settori che possono coesistere grazie ad una singola coltura. La coltivazione di un chilogrammo di biomassa di cactus richiede solo 200 litri d’acqua, la pianta assorbe molto dall’umidità atmosferica.
La “pelle” di cactus viene ricavata dalle foglie, ovviamente. Se ne usa un tipo dalle spine molto piccole, che creano meno problemi al team agricolo. La pianta non viene danneggiata, vengono tagliate solo quelle mature, così la crescita della pianta non ne soffre. Vengono tagliate, pulite e schiacciate, fatte essiccare al sole per tre giorni per raggiungere l’umidità necessario alla lavorazione, poi lavorate secondo la rivoluzionaria tecnica Desserto, e ciò che non serve viene venduto all’industria alimentare. Nulla viene sprecato. Il raccolto avviene ogni 6-8 mesi. Con questo pellame, robusto e spesso come il cuoio animale, si può fare tutto: borse, scarpe, accessori di moda, accessori per lo sport, per l’arredo, ma anche i rivestimenti dei sedili per auto. È completamente privo di bisfenolo A, ftalati e PVC, è traspirabile e non si altera all’umidità. È colorata con pigmenti organici, naturali, resiste ai batteri, al fuoco, agli UV e alle basse temperature, all’abrasione, allo sfregamento, allo strappo e alla trazione, grazie al forte legame molecolare della fibra del cactus. È quasi del tutto biodegradabile e riciclabile (la % varia in base alla versione), la lavorazione non necessita degli agenti chimici (formaldeide e cromo) necessari per le pelli in poliuretano e PVC, e qualcuna di quelle di origine animale.
Desserto ha ricevuto diversse certificazioni e riconoscimenti, come il Sigillo di materiale d’eccellenza dalla piattaforma MaterialConneXion, il Premio Green Product Award 2020, il Premio Sostenibilità della Montecarlo Fashion Week 2020 (14-18 maggio), la Certificazione di materiale vegano PETA, la Menzione speciale e il secondo posto nell’Innovation Award LVWH 2020.
Qualche “contro” lo devovrà pure avere, o no? Secondo un commento su Instagram: “Ottima idea ma da migliorare: si tratta di uno spalmato e non di un coagulato perciò c’è una parte di poliuretano che non può essere smaltita”. Ok, ma il paragone con la pelle animale è decisamente a favore di Desserto, e noi invitiamo sia le aziende del lusso che quelle del fats fashion a farne uso al più presto possibile (ps. Qualcuna lo sta già facendo).
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