Laurearsi a 50 anni, il racconto di una che ce l’ha fatta


A cinquant’anni, il futuro di una persona è già stato definito? Oppure, anche se già hai un lavoro stabile puoi decidere di riprendere in mano gli studi? Iscriversi all’università è roba per soli ventenni? Emiliana Vittorini, con la sua laurea in Scienze della Comunicazione conseguita a 51 anni, ci insegna che nulla di tutto questo è veritiero. Laurearsi a 50 anni è possibile e dà molta soddisfazione. Il suo primo percorso universitario comincia un anno dopo il diploma scientifico, con l’iscrizione alla facoltà di Economia e Commercio. Qui inizia a litigare con materie a cui non si era mai approcciata prima: Diritto, Economia Politica, Economia Aziendale, Ragioneria, Economia delle Finanze… non gliene piaceva una. “Tuttora, mentre te le elenco, mi viene l’ansia”, mi ha detto quando ci siamo incontrare. Abituata agli ottimi voti delle scuole superiori, con le prime bocciature inizia a calare l’autostima. “Mi sentivo un fallimento. Dalla prima della classe, sono precipitata all’ultimo posto”. Dopo tre anni, sconfortata dai ripetuti insuccessi, decide di rinunciare agli studi. Questa scelta non la fa a cuor leggero. Il pensiero, negli anni, è rimasto un chiodo fisso. Con l’arrivo della pandemia, il tempo libero era tanto e le università avevano attivato la modalità telematica: “Non avevo più tante scuse, solo timori. Li ho affrontati e, dopo aver superato il primo scoglio, la strada è stata tutta in discesa”. Un lavoro, un marito e un figlio. “Cosa le mancava?” si chiederanno in molti. Poco tempo fa probabilmente lei vi avrebbe risposto: “La laurea”. Oggi, grazie alla tenacia nell’inseguire il suo sogno, può vantare anche questa. Ecco cosa mi ha raccontato.

In quali tempi studiava?
C’è una premessa da fare: io ho iniziato l’università con il supporto della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno, ente ecclesiastico per cui lavoro, ed è stato davvero importante. Sono convinti che le persone che lavorano per loro debbano essere formate perciò, consapevoli e contenti di questa mia scelta, decisero di concedermi qualche ora lavorativa durante la giornata per studiare, soprattutto in prossimità degli esami. Le mie giornate lavorative sono di 8 ore. Finisco di lavorare verso le sei di sera e, in quel periodo, invece di riposarmi sul divano, iniziavo a studiare per l’università. Rimanevo sui libri fino alle dieci di sera.

Che tipo di rapporto ha instaurato con i compagni e i docenti? Le è capitato di trovare docenti più giovani di lei?
Sono un animale sociale, innamorata del genere umano. La mia capacità di fare amicizia è un dono di Dio. Io non faccio davvero niente per entrare così in sintonia con le persone, mi viene naturale. Questo mi ha dato l’opportunità di conoscere persone provenienti da tutta Italia. Ho instaurato dei rapporti anche molto solidi, che durano tuttora, sono nate delle belle amicizie. I compagni più giovani erano sempre intorno a chiedere appunti. Più erano giovani, più erano furbetti ma, nonostante questo, erano sempre disponibili a ripassare insieme o a scambiare opinioni. Gli anni di università sono stati un ritorno alle scuole superiori, ho voluto ricreare la bellezza di quel periodo. Ho avuto l’opportunità di rivivermi un momento della vita che, solitamente, arriva una volta sola. Durante le lezioni sono sempre stata partecipe e ho ricostruito quel rapporto insegnante-alunno del: ‘Maestra, maestra…”. A furia di rompere le scatole a tutti, sono diventata la mascotte. Anche con i docenti ho instaurato un bel rapporto. Penso di essere una delle poche persone ad avere il loro numero di cellulare. Con alcuni ho mantenuto dei rapporti più solidi. Con la professoressa di arte, ad esempio, ho creato un rapporto di stima e affetto che apprezzo tantissimo. Insegnanti più giovani di me? Certo che mi è capitato, ma questa cosa non ha influito sul mio percorso.

In cosa pensa che lo studiare a questa età l’abbia avvantaggiata e in cosa, invece, svantaggiata rispetto allo studiare a vent’anni?
A quest’età si è un po’ più scaltri in quanto di esperienze, buone o meno buone, ne sono state fatte. Affrontare l’università da adulti ti fa vivere l’esperienza in modo diverso, più sicuro, più certo. Le tue passioni sono più definite e le consapevolezze sono maggiori. (Non ha fatto cenno agli svantaggi, sintomo di quanto di buono le abbia lasciato questa esperienza, ndr)

Lei racconta che, ciò che la bloccava nell’intraprendere questo percorso, era anche il timore di non essere all’altezza. Dopo essere riuscita ad affrontare la paura, c’è stato qualcuno (compagni, professori, parenti, amici, ecc.) che l’ha fatta sentire a disagio o non all’altezza?
Il periodo della scelta sbagliata all’università mi ha traumatizzata, mi ha convinta di non essere più all’altezza degli studi. Il desiderio di voler ritentare, con il tempo, si è fatto sempre più acceso, ma era perennemente schiacciato dalla paura di riprovare le sensazioni negative, di non sentirmi ancora all’altezza. Mi sono letta attentamente tutto il piano studi e i programmi delle lezioni, mi piacevano tutti e questo mi ha convinta a muovere i primi passi. Una volta passato il primo scoglio, ossia quello di contattare l’università per l’iscrizione, ero tranquilla. Ho ricominciato ad essere brava, a mietere bei voti. Ogni esame, per me, aveva lo stesso effetto della dopamina: mi dava carica e mi scatenava dentro le endorfine, la felicità. Più prendevo bei voti, più ne volevo. L’ansia prima degli esami, ma la gioia di arrivare al termine del percorso con il massimo dei voti. Finalmente, con la corona d’alloro in testa, mi sono potuta dire: “Oh, finalmente! Questa si che era la mia strada. Averlo saputo trent’anni fa…”. Le persone intorno a me tifavano per la mia riuscita. Nessuno, durante il percorso, mi ha mai fatta sentire sbagliata. Solo dopo la laurea, qualcuno ha iniziato a sottovalutare la serietà della mia preparazione. Quando dico che mi sono laureata alla telematica, la gente storce un po’ il naso, come se mi fossi laureata in un’università di serie B. Ancora non c’è consapevolezza. Non metto in dubbio che ci sono diverse università telematiche che non sono al livello di altre. Io ho frequentato l’Università Internazionale Uninettuno, un ateneo digitale nel quale lavorano docenti di altissimo spessore. Una mia collega ha proseguito i suoi studi frequentando un corso magistrale in un’università statale e mi ripete spesso che studia molto meno rispetto a quando frequentava la telematica. Si spera che ora, avendo avuto anche l’esperienza della pandemia, la discriminazione nei confronti delle università telematiche andrà sempre più a diminuire.  È un grande vantaggio pure per le nuove generazioni che non possono più essere studenti e basta, che non hanno i genitori che pagano gli studi al posto loro. Tanti studenti si ritrovano a dover studiare e lavorare in contemporanea e, un corso in presenza, non li agevolerebbe. Suppongo che, in un futuro, ci sarà una rivalutazione di questo tipo di università e, quindi, anche di noi che ci siamo laureati alla telematica.

Quali sono stati gli ingredienti principali per farcela?
Il primo ingrediente è stato il supporto della mia Chiesa, ente per il quale lavoro. Il secondo sicuramente l’appoggio incondizionato di mio marito, il quale mi è sempre stato vicino e non mi ha mai fatto pesare nulla. Ha passato tanto tempo in silenzio mentre io ascoltavo le lezioni o mentre studiavo dopo l’orario di lavoro, privandoci di quella fetta di tempo che, solitamente, era nostra. Il terzo ingrediente fondamentale, devo dirlo, è stata la pandemia. I tre anni di studio hanno coinciso con il lockdown, perciò sarei stata comunque bloccata in casa, con o senza studio. L’università mi ha permesso di affrontare la pandemia in maniera diversa: non mi ha pesato così tanto dover stare chiusa in casa in quanto ero perennemente proiettata all’esame successivo e, soprattutto, eravamo tutti nella stessa situazione. Una volta laureata, era finita anche la pandemia, senza che nemmeno io me ne accorgessi.

(Nel link: l’edizione del TG 2 del 22/7/2024 in cui è intervistata anche Emiliana Vittorini)

 

 

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