La carne fa male? Come dagli anni 50 il marketing ha manipolato le nostre scelte alimentari (e lo fa ancora)
Li abbiamo visti tutti, almeno una volta vagando sui social, i commenti ironici degli uomini riguardo ai vegetariani, quelli che spuntano regolarmente sotto gli articoli in cui si annuncia, ad esempio, l’apertura di un nuovo ristorante vegano. Se ci si sofferma a pensare ci si chiede: perché una persona disinteressata all’alimentazione vegetariana sente il bisogno di fare quel tipo di commento, dato che nessuno sta minacciando la sua libertà di continuare a mangiare carne? Perché sono cos’ violenti contro chi si azzarda a dire che la carne fa male? La spiegazione è semplice e riguarda la paura di mettere in discussione una convinzione che si dà per giusta sin dall’infanzia, e la propria mascolinità.
Non tutti sanno che l’origine dell’ironia riguardo ai vegetariani risale alla campagna commerciale esterofila più o meno occulta degli anni 50 che per diffondere il consumo smodato della carne fra i maschi, nel boom economico, puntò su una presunta associazione di idee con la virilità e il piacere sessuale. La carne come cibo da guerrieri, da vichinghi, da spartani, da maschioni. Si era scelto questo tipo specifico di messaggio (irresistibile, quasi tutti aspirano ad essere stalloni da monta) perché gli uomini mangiano molto più delle donne, così come consumano più alcolici. Per le donne, invece, si è fatto più leva sullo status symbol. Ossia: dopo generazioni in povertà, il frigo pieno di bistecche rappresentava la dimostrazione di un raggiunto benessere sociale, il poter dare il meglio ai propri figli, cosa che ne faceva buone madri, con un carico minore di sensi di colpa dettati dall’ancestrale paura di sbagliare sempre tutto, con cui vengono tenute in scacco da sempre.
Si trattava in entrambi i casi di propaganda ingannatoria, perché oggi si è scoperto che l’eccessivo consumo di carne è invece la causa principale dei problemi cardiovascolari, e quindi dell’impotenza. Così come, fino agli anni 80, si diceva che il latte fa bene alle ossa quando ha l’effetto opposto, che lo zucchero faccia bene al cervello quando invece ne brucia le cellule, che il vino sia un potente antiossidante, quando invece l’alcol aumenta il rischio di tumori in varie parti del corpo, compresa la mammella. Le madri, invece, scoprono a posteriori che tutte quelle fettine hanno aumentato nel tempo l’inquinamento, un danno che la generazione successiva subisce sempre di più rispetto alla precedente.
Il marketing ingannatorio ha funzionato fin troppo bene, quando non c’era modo di smentirlo perché l’informazione era solo top – down, mentre ora è orizzontale. Da allora, il consumo eccessivo di carne è raddoppiato procapite in pochi decenni, ponendo le basi per l’invenzione degli allevamenti intensivi, un disastro inquinante senza rimedi, pur di soddisfare la richiesta di un alimento che non andrebbe consumato più di due volte a settimana. Ma proprio al massimo.